Le mappe ci collocano e ci orientano. In base agli strumenti che scegliamo di utilizzare per esplorare le sezioni di realtà in cui siamo immersi, la rappresentazione di quel mondo sarà sempre diversa. Quando proviamo ad attribuire un giudizio e una forma alle esperienze che nel mondo viviamo, dobbiamo sempre tenere a mente, in maniera consapevole, che queste figure nascono nel punto di vista con cui scegliamo di raccontare le cose. Da questo punto di partenza non possiamo prescindere, se vogliamo che il viaggio verso cui ci incamminiamo possa essere compreso dagli altri. La data visualization è un’alleata per sottolineare questo presupposto, dicendoci che i dati non sono mai neutri. Che nel momento in cui raccontiamo la realtà la stiamo già riscrivendo, riconfigurando, proponendo dei valori per accompagnare la sua interpretazione. E questo ha un grande significato per tutto ciò che riguarda l’innovazione dei processi, dei servizi e dei prodotti.
Abbiamo chiesto a Martina Zunica, information designer, di raccontarci la sua mappa scritta attraverso gli strumenti della data visualization e le tappe di un viaggio che tengono al centro il binomio utile-bello, etica-estetica.
La data visualization raggruppa un insieme di discipline e competenze che permettono di restituire informazioni complesse in maniera comprensibile, trasformando i dati in strumenti utili di valutazione per prendere decisioni corrette. Risponde spesso a un’esigenza sociale che ha a che fare col coinvolgimento delle persone nell’elaborazione di un processo di analisi, utilizzando la creatività come facilitatore. Tenere insieme la raccolta, l’organizzazione, l’interpretazione dei dati è tra i focus del progetto CulTourData, di cui il Cluster Basilicata Creativa è partner. Il progetto si prepara a condividere a metà Gennaio gli output delle idee finanziate con i team di lavoro previsti dal Bando, che ha incoraggiato la collaborazione tra operatori turistici, esperti di dati, creativi.
Dare una definizione univoca della visualizzazione dati non è affatto semplice.
Con un’esperienza da Global Visual Communication Expert in Gucci, da insegnante presso il Quasar Institute for Advanced Design, da speaker e facilitatrice di un workshop di data visualization – tra cui l’ultimo all’Info+ Conf organizzata dall’Università di Edimburgo – il viaggio di Martina inizia col racconto della parola che nel 2023 per lei è stata fondamentale. Per iniziarci alla Data Visualization attraverso il sentiero della passione.
Il sentiero della passione: una strada di montagna
E’ condivisione il significato che Martina ci racconta come eredità del suo 2023. Crede che il concetto di networking sia centrale per abitare il mondo eclettico della dataviz, fatto di molteplici volti professionali. Le relazioni di valore con altri appassionati e professionisti si sono ritrovate alla Conferenza di Edimburgo sulla Data Visualization lo scorso Novembre, dove Martina ha sentito questo bisogno comune di connessione come confronto, sostegno emotivo e professionale, in un ambiente piccolo e selettivo in cui soprattutto in alcuni contesti e Paesi come l’Italia la figura dell’information designer fatica ad affermarsi. “Quando penso a professionisti che collaborano in maniera sincera, etica, penso sempre a un circuito che funziona. Quando abbiamo creato il gruppo di designer a Milano, abbiamo avuto diversi scambi anche a livello di reference, di challenge a cui applicare i bandi, di segnalazione di lavori”: commenta così Martina un mondo che necessita di una competizione sana tra le persone, che sia fatta di ispirazioni e stimoli da lavori diversi. La sua passione è legata alla data visualization e molto alla pratica della condivisione, da cui riceve la giusta energia creativa. Se dovesse dare una forma al sentiero della passione, sulla mappa, sarebbe una strada tortuosa, un sentiero di montagna difficile, in salita su un precipizio, ma che conduce a una vista impagabile.
“Penso che tutto si possa contare, non necessariamente misurare. Noi siamo fatti così, attribuiamo un valore a tutto. Anche una cosa personale, piccola, qualitativa. Forse c’è qualcosa che non riusciamo a contare abbastanza, per cui non abbiamo misure adeguate, ma possiamo comparare ad altre misure. E’ una cosa umana, per comprendere i fenomeni. Le cose che ci stanno intorno le contiamo, attribuendo grandezze e misure. E’ un modo per avere meno paura”.
Il suo lavoro si focalizza sui temi degli small data e del data Humanism, visibili nel suo progetto Journal Dataviz Challenge, in cui attraverso una serie di challenge mensili, invita una community di appassionati a condividere le proprie infografiche. Si può entrare nella community accedendo al canale telegram da questo link: https://instagram.com/journal_dataviz_challenge?igshid=OGQ5ZDc2ODk2ZA==
La palude dell’ovvio: quando la data visualization è usata male
Martina ci tiene a sottolineare che non possono esistere lavori belli ma non utili, non funzionali agli obiettivi di rendere le informazioni quanto più accessibili possibili a chi le dovrà comprendere e riutilizzare. Un lavoro di questo tipo è ben fatto quando è utile, accessibile e anche bello per agevolare la funzione di comunicare la complessità.
La visualizzazione dati diventa banale – e perciò contesti professionali pubblici e privati la utilizzano in maniera depotenziata – quando si tende a semplificare i processi di analisi e di restituzione dei dati alla creazione di una serie di grafici. L’obiettivo della data visualization è, dal suo punto di vista, quello di contribuire a leggere una situazione da un punto di vista diverso, nuovo. Questo è il valore aggiunto che Martina pensa di dover dare come progettista.
In un campo così vasto è difficile dire che qualcosa sia sbagliato, ma sicuramente una delle banalizzazioni che sviliscono un lavoro che ha tanta complessità intorno è sentir dire che il grafico a barre va bene per tutto, come se uniformare l’output potesse semplificare il processo. Numeri, contesti, esigenze determinano l’approccio della data visualization da utilizzare. Quello che non funziona è quando il rapporto tra obiettivo e funzionalità viene meno.
Anche quando i contesti aziendali grandi fanno fatica a includere e valorizzare figure di questo tipo è una maniera di banalizzare l’information design. Possiamo accettare che ci siano dei lavori di data viz puramente spogli, fatti da persone che provengono principalmente da un mondo analitico e non grafico e creativo? Quello che non funziona, perde sempre; un lavoro che non comunica informazioni non ha senso, ma quando c’è anche una componente estetica ha un valore aggiunto.
Sulla sua mappa, disegnerebbe un percorso con ciottoli che sporgono dal terreno, per ricordare a chi la legge che è una via da cui puoi passare oltre ma in cui è anche facile restare imbrigliati, finendo per fare cose banali. E’ una via che fa parte del gioco, del percorso: è facile caderci, ma puoi imparare dove non mettere i piedi per andare avanti. Dovrebbero fare attenzione a questo rischio tutti gli ambiti che per mission devono avvicinare le persone alla comprensione di funzioni e dinamiche non immediatamente visibili, per servizi per esempio legati alla sanità e alle pubbliche amministrazioni. Potenziare e massimizzare l’utilizzo della data visualization, per Martina, è una funzione fondamentale soprattutto per gli enti pubblici e in generale tutti gli ambiti che vanno nella direzione del coinvolgimento del cittadino e che richiedono processi di sensibilizzazione mediamente lunghi. Devono sforzarsi di rendere accessibili i loro contesti.
Lavorare sull’accessibilità dei contesti pubblici è fondamentale perchè il ruolo di chi guarda e interpreta i lavori di visualizzazione dati ha un grande valore: c’è una parte inedita che può cogliere il cittadino, facendo emergere significati che non sono esclusivamente predeterminati dal progettista e che avviano a una serie di connessioni inaspettate, messe in moto proprio dalla pluralità dei punti di vista.
“Come la persona interagisce fa l’altra parte del lavoro. L’interpretazione è sempre lasciata alla persona e al suo pensiero critico. C’è il contesto personale con cui la persona si inserisce nel lavoro di visualizzazione dati. E questo succede la maggior parte delle volte, soprattutto nei contesti in cui l’informazione si crea dall’interazione con l’utente, in base alle regole che hai settato. E’ evidente per esempio nei lavori di Domestic data streamers che sfociano nella data art, come installazioni, esposizioni. Finché l’utente non interagisce, non sappiamo cosa verrà fuori. L’opera è in questo senso in mano al fruitore. Ma secondo me avviene in ogni caso; tenendo conto che i dati non sono neutri, che il progettista decide la chiave di lettura e che il fruitore della mia opera è condizionato dalle scelte che ho fatto a priori ma che ha una sensibilità propria con cui ricrea i significati che condividiamo”.
La terra di mezzo: che cosa dobbiamo continuare a fare
A metà del nostro viaggio, siamo pronti per chiederci che cosa dobbiamo ancora imparare a proposito della visualizzazione dati, quando è usata bene. Martina ci racconta di un’esperienza coordinata a Brindisi, nell’ambito della SUPERBRINDISI Summer School organizzata nell’ambito del progetto “Case di Quartiere” dal Comune di Brindisi per contrastare la sensazione di immobilismo culturale e sociale della città. Punto di partenza e caso studio, il bilancio sociale della rete delle Case di Quartiere.
L’obiettivo consegnato a Martina aveva a che fare con l’intenzione di valorizzare un investimento importante realizzato durante l’anno con attività legate alla rigenerazione urbana e alla rifunzionalizzazione di 10 strutture inutilizzate. Luoghi riconsegnati alla comunità, ai piccoli imprenditori e al mondo del no profit, con laboratori didattici gratuiti, spazi di co-working, gestione di parchi pubblici, luoghi di aggregazione. La visualizzazione dati è stata pensata come strumento e approccio per facilitare il raccordo di cittadini, associazioni, pubblica amministrazione. Un processo per avvicinare i luoghi alle persone, reali beneficiari di quegli investimenti sociali e finanziari, attraverso la distribuzione delle informazioni. Il workshop ideato e coordinato da Martina è stato strutturato affinché i gruppi scegliessero temi e dataset da rappresentare. In questo modo, le “Case di Quartiere” sono diventate opportunità per rileggere i valori del progetto, con dati qualitativi e quantitativi organizzati in aree tematiche. In alcuni casi, hanno scelto di non rappresentare alcuni valori perché reputati non significativi. E questo è molto rilevante.
Le persone coinvolte, gli spazi attivati, che tipo di persone sono state coinvolte, come sono fatte le case, il budget utilizzato sono stati trasformati nella storia dei fruitori stessi di quei luoghi, che diventano autori consapevoli mentre prendono atto di quello che è successo nella loro città, dell’impegno che è stato dedicato a questi luoghi. Successivamente a questa fase di analisi di gruppo, sono state create otto poster infografiche più rifinite, pensate in modo che comunicassero tra di loro.
Ora, le strutture di dati create da Martina per facilitare questo processo, aumenteranno il loro valore se i database verranno trasferiti in digitale per far in modo che siano aperti e aggiornabili, consultabili sempre dai cittadini, per permettere all’organizzazione di lavorarci in maniera agevole. L’obiettivo di integrare le attività realizzate con i cittadini, i fruitori dei servizi che hanno interagito durante l’anno con le Case di Quartiere, deve dunque lavorare anche per trasferire il processo alla pubblica amministrazione e alle associazioni che gestiscono questi luoghi pubblici:
“Come facciamo a fare in modo che queste persone siano interessate a raccogliere questi dati? Abbiamo clusterizzato i dati in modo che fossero i più compatti e semplici possibili. L’obiettivo era non renderli estranei, lavorando nella progettazione alla comprensibilità del processo”.
Il porto della possibilità: smuovere il piccolo per cambiare il mondo
La mappa disegnata dalle parole di Martina ci consegna un ultimo tratto mentre ci racconta la sua cassetta degli attrezzi del futuro rispetto alle evoluzioni che intuisce sugli utilizzi della visualizzazione dati. Il primo tratto ha a che fare con l’insegnamento, che si porta dentro sempre la domanda se le cose trasferite agli studenti siano utili, per un futuro della data viz sempre più digitale, fatto di codice. Avere diversi modi attraverso cui arrivare a un punto solo, nel futuro aiuterà sempre di più. E proprio qui Martina si chiede che ruolo avranno la progettazione e la creatività rispetto alla differenziazione veloce di tools e mezzi: “da che parte sta andando la data viz? O meglio, c’è solo una parte verso cui si va? Quale sarà il ruolo dell’educazione alla progettazione per differenziare i prodotti?”
Quando le chiediamo delle potenzialità degli strumenti della data visualization per il settore turistico, ci porta all’aeroporto di Edimburgo:
“Sulla navetta dell’aeroporto verso il gate, hanno installato delle targhette che raccontano alcuni insight qualitativi e quantitativi di Edimburgo. Il viaggiatore impara qualcosa della città, sensibilizzando in generale le persone alle tematiche che ci stanno a cuore. C’è un progetto di data visualization, per esempio, che stima l’inquinamento derivato da voli privati delle persone più ricche del mondo. Stimare le cose, comparare più dimensioni personali, includere la dimensione dell’informazione nello storytelling dei luoghi, ha sempre un’implicazione sulla sensibilizzazione dell’utente”.
E se le possibilità sono potenzialmente infinite in un mondo così eclettico e mutevole come quello della dataviz, è la passione il vero timone di queste navigazioni. La passione sarà la guida più leale per scegliere in quale direzione incamminarsi. E le rotte potranno essere dei percorsi assolutamente non prestabiliti. Come in ogni mappa che si rispetti, c’è un altrove non ancora descritto implicito alla luce della nostra attuale mappa. La passione di Martina si accende quando le persone che la ascoltano le dicono che si sono divertite, che hanno lavorato a qualcosa di insolito rispetto a quello a cui si dedicano quotidianamente: “Qui cambi le persone davvero. Se quello che faccio ha un valore per qualcuno, ho cambiato il mondo. Essere parte di un processo di consapevolezza di altre persone, mi cambia dentro. Quando do, ricevo. Mi piace smuovere il piccolo”.