Valerio Calabrese, filmmaker e visual artist realizza ALGORITMO, foto di Luca Puglisi
ALGORITMO è il cortometraggio di Valerio Calabrese che racconta la storia di magia di Colobraro col supporto dell’intelligenza artificiale generativa. Una produzione realizzata in collaborazione col Cluster Basilicata Creativa in occasione di “Una Notte al Borgo”, il terzo evento del 2024 a cura del Polo europeo per l’innovazione digitale EDIH Heritage Smart Lab dedicato alle pubbliche amministrazioni.
La produzione è ispirata alla storia di fortuna e sfortuna del borgo materano in una costellazione nuova che lascia intuire nuove connessioni tra storia ereditata e scelte narrative dell’identità locale, a partire dallo sguardo di Ernesto De Martino e Franco Pinna. Ventotto giorni di lavoro, otto minuti realizzati dalla selezione di ottomila immagini generate dai prompt che Valerio ha formulato in un dialogo con la tecnologia tutt’altro che lineare. Scavando nei solchi della memoria come in quella dei database, Valerio ha attraversato le pieghe delle rughe della masciare per arrivare all’immagine e ai ruoli che l’intelligenza artificiale riproduce delle donne, dei luoghi. In un’esplorazione che deve fare i conti con l’assenza di una caratterizzazione etica di figure chiave della storia locale e con la pericolosa visione dominante che riproduce immagini del successo, ripercorriamo le fasi di ricerca e realizzazione per restituire alcuni degli aspetti sociali, tecnici, etici più interessanti del processo creativo. Mentre immaginiamo Valerio orientarsi come nella Biblioteca di Babele di Borges, ALGORITMO è stato donato al Comune di Colobraro per implementare l’offerta culturale di un piccolo Comune e supportare una riflessione collettiva sulla valorizzazione del patrimonio culturale immateriale.
Prompt: ernesto de martino, character –sref facing mysterious monolith, Basilicata 1952, golden
Qual è la cassetta degli attrezzi di Valerio Calabrese come narratore? Se dovesse definirti Walter Benjamin, ti vedresti di più tra gli agricoltori sedentari o i mercanti navigatori nella costruzione del racconto e nella sperimentazione di alcuni degli strumenti tecnologici ad oggi più discussi forniti dall’intelligenza artificiale?
Ho sempre considerato il video uno strumento per fare arte, per raccontare le mie idee in una precisa visione del mondo, anche aggrappandomi a qualche manierismo tecnico.
Ho la passione per il disegno, l’animazione, il teatro e la musica. Sono un appassionato del destrutturalismo e della necessità di rimuovere un punto di vista unico nella ricezione del messaggio artistico. Vivo tra Potenza e Napoli.
Per dare forma alle mie ispirazioni, mi porto dietro una cassetta degli attrezzi che contiene sicuramente un PC, una biblioteca e un jukebox senza limiti: software, filosofia, antropologia, design. Un computer, tutti i libri, tutta la musica.
Nel mio lavoro, utilizzo la tecnologia, come altri strumenti e reference artistiche, tenendo presente la domanda su che cosa significhi “innovazione” e quali sfide ci pongano le nostre intenzioni narrative. A quesiti complessi non cerco risposte semplici, mi accontento di generare un dibattito.
Gli strumenti che ho utilizzato maggiormente in ALGORITMO, sono Midjourney, runwaygen.
prompt: “Lucanian ritual masks, Basilicata 1952, rural village, procession of hooded figures with colorful masks and ribbons, mystical atmosphere, golden sunset light, stone houses in background, vintage photorealistic” –ar 16:9 –style raw
Il patrimonio immateriale abita una dimensione che è essenzialmente pubblica e anche puntuale dal punto di vista dell’ambientazione, sia nella generazione che nella trasmissione. Partendo da questa consapevolezza, con quali sfide ti sei confrontato, come singolo, nel restituire un vissuto collettivo passando attraverso le interpretazioni dell’intelligenza artificiale generativa, un codice che trasforma, riscrive il concetto di memoria, storia, pubblico?
Credo che il ruolo dell’artista sia fornire un proprio punto di vista per leggere la realtà. Il narratore in questo senso è un mediatore. Io, nella selezione faticosa delle immagini che emergevano nella ricerca con la tecnologia da una parte e dall’altra le foto in bianco e nero di Franco Pinna, ho organizzato delle sequenze nate per rileggere alcune delle pagine più caratteristiche della Basilicata degli anni ‘50. Alle porte del boom economico italiano, Colobraro custodiva un suo linguaggio proprio per spiegare le relazioni sociali, quelle con la natura e con la vita.
prompt: “Sick child, Basilicata 1952, interior of peasant home, wrought iron bed, white sheets, wrinkled hand touching forehead, dramatic shadows, window with filtered light, sepia color palette, Italian neorealist style –ar 4:3 –style raw
Senza questa immersione, fatta di una conoscenza ricostruita e riscoperta, anche l’utilizzo delle tecnologie considerate oggi più innovative naufraga senza restituirci un significato fertile. Nel momento in cui invece sappiamo chi siamo stati e soprattutto chi vogliamo essere, l’intelligenza artificiale può essere un alleato interessante.
Nel processo creativo mi hanno accompagnato gli studi di Cosimo Accoto, Matteo Pasquinelli, Angelo Lucano Larotonda. Dobbiamo confrontarci col fatto che l’intelligenza artificiale ci presenta simulacri e non simulazioni della realtà: un simulacro è una copia senza l’originale, direbbe Jean Baudrillard. E una copia senza l’originale, diventa l’originale. C’è una nuova generazione che usa questi strumenti in maniera naturale, vivono in una nuova realtà senza corpi, distanze, tempo e luoghi. E non puoi biasimare i giovani se questa sequela di comfort si sta rivelando più interessante della nostra. Piuttosto devi iniziare a capirla.
Anche la promozione del territorio dovrà confrontarsi col linguaggio dell’intelligenza artificiale, partendo da una scelta identitaria che farà inciampare la retorica generalista dell’isola felice. Dobbiamo necessariamente trovare un linguaggio nostro per raccontarci, seminare il punto di vista sulla Basilicata nei lucani, approfondire quale definizione di territorio abbiamo noi stessi. Innovazione in questo senso è fare un passo indietro per capire chi sei, poi decidere chi vuoi essere da grande.
Stilisticamente non puoi rappresentarla gotica, bauhaus, cubista o art noveau. Se hai vissuto fuori dai radar del mondo, non puoi vestirti con gli abiti altrui. Ma nella terra residuale e di realtà rarefatte ci sarebbe spazio per una sana anarchia artistica, invece no, facciamo volare i droni sui borghi e saturiamo i colori. Stop. Ragioniamo da impiegati anche nel raccontarci.
Quale idea di bellezza, di valore artistico hai scoperto nella realizzazione di ALGORITMO?
Credo che la bellezza, nel mio lavoro, sia ottenere una coerenza. Una disinvoltura. Nel caso di ALGORITMO, mi ha emozionato il fatto che alcuni risultati generati – prendendo come reference le fotografie in bianco e nero Franco Pinna e scegliendo la color grading di un film anni ‘60 – non davano assolutamente il senso di artefatto.
Le scelte artistiche che ho fatto per tradurre le immagini nella post produzione a colori delle foto mi hanno restituito coerenza. Mi hanno dato la sensazione di essere rimasto fedele all’etica e l’estetica di Pinna, di non aver tradito le intenzioni delle foto.
Dopo la prima proiezione del cortometraggio con la comunità di Colobraro, mi è stato detto che nello svolgimento della storia l’intelligenza artificiale resta assolutamente marginale, nel senso che finisci per non pensare allo strumento con cui è stato creato. Al centro restano le emozioni che il racconto di quel tempo comunitario lascia emergere.
Al centro c’è il dolore della morte, della miseria, ma in generale l’energia della vita, il suo elemento sacro.
ALGORITMO è un intreccio di linguaggi popolari, accademici, artistici. Quali immaginari rievoca lo sguardo laterale dell’arte che guida la tecnologia?
La Basilicata non ha un’immagine stereotipata o un bagaglio iconografico universalmente riconosciuto che ne catturi l’essenza in modo immediato. Il cinema ci adotta sempre come set, raramente come storia. Io voglio scuotere questa cosa, dare dignità a una terra che non si autocelebra, contribuire a una connotazione, all’attribuzione di una personalità.
Ho scelto di prendere in prestito dalla fantascienza un espediente narrativo che creasse nella sceneggiatura un campo di attesa. E’ l’incontro tra l’uomo, il ricercatore Ernesto De Martino, e la macchina, l’intelligenza artificiale. Ho provato a mettere in piedi un dialogo col tempo di una comunità attraverso un monolite. Un riferimento cinematografico diventa, nella trama di ALGORITMO, artefice del racconto del 1952 di Colobraro.
prompt: character –sref Ernesto de Martino in futuristic control room, elderly ethnologist transported to the future, white shirt and black tie, intense worried expression, surrounded by blue glowing monitors, dystopian surveillance center, time travel concept
Quando arrivi a Colobraro, c’è un dirupo che dipinge il paese in un paesaggio straordinario. La sfortuna ha scritto una parte importante della sua storia eppure sembra non esserci completamente una storicizzazione della magia che ne consenta la valorizzazione.
Lo sguardo dell’artista, del creativo è uno sguardo laterale capace di posizionarsi sul margine per vedere la straordinarietà, per reinventare i nessi causali e semantici: chi è la maciara? è vicina a Dio? è cattiva? aiuta i bambini? perché non può essere un medico ante litteram?
Considerando che l’intelligenza artificiale può cristallizzare una certa maniera, dominante e discriminante di rappresentare il mondo, quali logiche hai visto riprodotte nella generazione delle immagini che riguardavano un vissuto “extra-ordinario”come quello di Colobraro?
La prima restituzione che vale la pena analizzare riguarda la Basilicata e le donne. Quando ho chiesto immagini di donne lucane, l’intelligenza artificiale mi ha generato donne contadine, al di fuori dei canoni estetici classici, vestite di nero. Se chiedevo la rappresentazione di una donna di successo di Milano, veniva fuori un’immagine completamente differente che parlava il linguaggio della moda, anche con posture completamente differenti: la prima curva o seduta a terra; la seconda in posa da modella. La donna che abita in Basilicata è solo arretrata, brutta, campagnola: un biglietto da visita abbastanza inquietante ci fornisce l’IA. La prima interferenza con cui ho dovuto confrontarmi è la rappresentazione di donne lucane degli anni ‘50 in un contesto di povertà economica. Le prime sequenze generate mi restituivano donne che pregavano, su un asinello, con vestiti musulmani. Il filtro culturale con cui mi stavo confrontando selezionava e discriminava col mainstream occidentale.
prompt: Chorus of mourning women, Basilicata 1952, facade of rural church, traditional black dresses, veils, hands joined in prayer, expressions of grief, intense side lighting, textured crumbling wall, symmetrical composition, high-contrast black and white
In questa visione che tende a fornire risultati di progressismo occidentale a tutti i costi, anche i concetti di dolore, morte, quotidiano, vecchiaia, fallimento, limite restano marginali nella narrazione dell’intelligenza artificiale. Considerati tutti gli sforzi di policy per rendere le piattaforme tecnologie strumenti utili, sicuri, sostenibili, dobbiamo essere consapevoli che se non diamo istruzioni precise, specifiche, con un’intenzione chiara, la tecnologia ci restituirà solo immagini legate al benessere capitalista. Questa idea di successo è la stessa idea che emerge anche quando nel tentativo di fare compiere “un’azione dinamica a un uomo settantenne” l’IA lo trasforma in un atleta, un giovane o un supereroe. Come se il concetto motorio fosse un concetto performativo.
La magia di Colobraro forse può essere il nostro amuleto per illuminare i canoni di una cultura che marginalizza ciò che è irrazionale, marginale, implicito, soprattutto nell’utilizzo della tecnologia. Per interrogare la rilevanza etica di quei canoni in cui il dolore non si accoglie ma si allontana, si reprime, impedendogli di trovare rappresentazione e perciò rappresentanza, emancipazione.
prompt: Screaming Lucanian woman, Basilicata 1952, ancient doorway, stormy sky, white headscarf, traditional black dress, expression of despair, strong shadows, blurred rural buildings in background, desaturated color palette, dramatic cinematic style, close up
Nell’articolo del docente dell’Università Ca Foscari Matteo Pasquinelli si raccontano i rituali indiani come embrioni dei meccanismi vigenti per l’Intelligenza artificiale: in entrambi i casi, abbiamo a che fare con una sequenza di passaggi finiti con lo scopo di ottenere l’effetto sociale desiderato.
Dopo tutto l’intelligenza artificiale, è lo scarto cognitivo tra un modello matematico e il mondo reale. Anche il Perceptron, il primo modello di rete neurale artificiale, funzionava così, già nel 1943. Mettetevi l’anima in pace, in Basilicata non si facevano riti, ma calcoli.